Cittą di Torino

Museo della Frutta

“…frutti modellati così vivamente dal vero da scambiarli coi naturali…” – Francesco Garnier Valletti

L’allestimento

Il progetto museografico è nato e si è sviluppato in costante confronto fra la possibilità di esporre i beni più significativi della Stazione e gli spazi a disposizione, fra la volontà di disporli negli ambienti, restaurati e adattati a questo scopo, in forma tale da evocare, nella maniera più adeguata, il contesto di provenienza e di dare vita a un percorso, cronologico e tematico in grado di rendere quanto più intelligibile la storia di cui essi erano testimoni.

Ne è nato un percorso che, a partire da uno spazio di introduzione dedicato a San Salvario, il contesto territoriale e tematico – del Museo, ma anche della storia che ne costituisce il filo conduttore – si sviluppa in ordine cronologico, in cui i singoli ambienti che si succedono corrispondono non solo a un tempo e a uno spazio determinati, ma anche a un tema e a un messaggio principale che ad essi corrisponde. Il percorso fisico corrisponde, dunque, ad un ordine temporale e tematico, suddiviso in unità narrative autonome, seppur legate le une alle altre dallo stesso filo conduttore.

Sono stati volutamente ricreati degli spazi soprattutto evocativi, in cui ciò che importava comunicare era un’atmosfera, una rievocazione di momenti, ambienti, situazioni.

Ufficio del Direttore

Le sale delle collezioni pomologiche sono state poste al centro del percorso, quasi a costituire un museo nel museo, senza interrompere la sequenza cronologica della ricostruzione della storia della Stazione, ma al tempo stesso ponendosi al suo centro e al suo cuore, nella consapevolezza che in esse si colloca uno dei momenti di maggiore magia e interesse di tutto il Museo.

L’esposizione dei frutti è stata ricostruita in modo simile a quella storica della Regia Stazione, grazie anche all’aiuto di immagini fotografiche offerte dagli eredi di Francesco Scurti.

Gli armadi vetrati, fatti realizzare per ospitare le collezioni, sono stati restaurati e ricollocati nel Museo, così, come si presentavano nella sede di via Ormea, con le collezioni pomologiche situate all’interno. Oltre ai frutti, sono esposti oggetti storici, come gli eleganti vasi di vetro e gli arredi della Stazione ed immagini e documenti che testimoniano l’attività della Sezione negli anni Trenta del Novecento.

Della grande biblioteca dell’Istituto, ricca di 19.000 volumi, il cui nucleo principale è costituito dai volumi e dai periodici acquisiti dalla sua creazione prevalentemente sino agli anni Cinquanta del Novecento – e che per questo riveste un interesse soprattutto storico – è esposta solo una piccola parte, nell’attesa che la disponibilità di spazi adeguati consenta di ricostruire nella sua interezza la bellissima sala di lettura realizzata negli anni Trenta, al momento dell’ampliamento della Stazione di via Ormea.

Galleria scoperta con i quattro busti

Nell’attuale allestimento del Museo essa è affiancata da una selezione di oggetti, immagini, documenti che testimoniano l’attività della Sezione negli anni Trenta del Novecento, la cui esposizione si prolunga nell’ufficio del Direttore, al cui centro si trova la scrivania usata per lunghi anni da Francesco Scurti e i mobili del suo ufficio, anch’essi risalenti in gran parte a quegli anni. A ornare la stanza sono le carte agrogeologiche del Piemonte, della Liguria e della Valle d’Aosta realizzate all’inizio degli anni Trenta.

Nella lunga e luminosa Galleria vetrata i quattro busti di marmo, nelle cui effigie sono state identificate le fattezze di Pasteur, Malpighi, De Filippi e Rocca, provengono dalla villa di Edoardo Perroncito, il noto parassitologo, e facevano parte del Pantheon di agronomi e bacologi che ornavano il giardino della villa, sede anche del Museo di Apicoltura e Bachicoltura da cui proviene il modello sinottico di bruco «Bombix mori» in papier-mâché, realizzato presso la ditta del Docteur Auzoux.

Il baco da seta

Un cenno meritano i cartoncini dipinti ad olio inquadrati in preziose cornici in legno, appositamente realizzate dall’ebanista Francesco Sestini di Firenze in occasione dell’Esposizione di Torino del 1928, che riproducono i diversi stati patologici cui sono esposti i frutti a causa di un’errata conservazione.

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